AREA INFORMATIVA - GLOSSARIO CONDOMINIALE

 

RISCALDAMENTO CENTRALIZZATO


Il condomino che non l'abbia fatto inizialmente, può allacciarsi all'impianto centralizzato anche in un secondo momento.
Questo, infatti, costituisce un bene comune a tutti i condomini.
 

Contabilizzatori di calore
L'articolo 26, comma 5, della legge 9/1/1991, n. IO, stabilisce che per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore, e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea dei condomini, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del Cod. civ., decide a maggioranza, ossia con il voto favorevole della metà più uno degli intervenuti. La stessa maggioranza è sufficiente per modificare un criterio precedentemente adottato.
Negli edifici dotati di sistema di contabilizzazione del calore appare corretto suddividere la spesa globale di consumo in ragione del 20-50% in base alla superficie radiante di ciascuna unità immobiliare, e per la restante quota tenendo conto del consumo di ciascuna unità. Una soluzione corretta potrebbe essere 30 e 70. A stabilire le percentuali è l'assemblea, con il voto favorevole della metà più uno degli intervenuti, indipendentemente dai millesimi rappresentati. Quanto alle spese di manutenzione e conservazione dell'impianto, ci si deve rifare alla tabella millesimale del riscaldamento. Se l'assemblea ha deliberato l'installazione dei contabilizzatori di calore, alla spesa devono contribuire anche i condomini che non abbiano votato a favore, a meno che gli altri non accettino di esonerarli dal parteciparvi, ferma restando l'applicazione dei misuratori anche nelle loro unità immobiliari.
 

Distacco
Il condomino può legittimamente rinunciare all'uso del riscaldamento centralizzato se il regolamento contrattuale non lo vieta e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto comune, senza neessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condomini, se prova che dalla sua rinuncia e dal distacco non derivano né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire dell'impianto, né uno squilibrio termico dell'intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio. La delibera assembleare che respingesse la richiesta di autorizzazione al distacco in presenza di questi presupposti sarebbe nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune.
Se questi due presupposti non vengono soddisfatti è necessario il consenso di tutti gli altri condomini. Unanimità di consensi anche se il distacco determina uno squilibrio termico eliminabile soltanto attraverso un aggravio dei costi a carico dei condomini che continuano a servirsi dell'impianto, o se l'obbligo di contribuire comunque alla spesa è sancito da un regolamento contrattuale.
Per evitare possibili discussioni è preferibile che il distacco dall'impianto centralizzato venga eseguito da un tecnico, alla presenza dell'amministratore, e che dell'operazione venga redatto un verbale firmato dai presenti, da conservare agli atti del condominio.
Chi si distacca dall'impianto centralizzato deve continuare a contribuire alle spese richieste dalla sua conservazione (manutenzione ordinaria e straordinaria, compresa la sostituzione della caldaia), poiché ne rimane comproprietario, a meno che non venga esonerato da tutti gli altri condomini. Non è invece tenuto a contribuire alle spese richieste dal funzionamento dell'impianto: come quella per l'acquisto del combustibile.

 

Scopri come effettuare il distacco
 

 

Frazionamento
L'impianto centralizzato di riscaldamento non può essere frazionato poiché i locali che lo ospitano costituiscono un complesso indivisibile.
 

Guasto
L'assemblea può, ma soltanto all'unanimità, deliberare di rinunciare a riparare e quindi ripristinare l'impianto che si sia guastato. La stessa Cassazione ha sancito la nullità della delibera con la quale l'assemblea aveva, a maggioranza, stabilito di non eseguire i lavori di manutenzione e adattamento dell'impianto, perché ritenuti economicamente troppo onerosi.
Se il guasto si verifica in coincidenza dell'innesto sulla colonna montante, la metà della spesa occorrente alla riparazione grava sui proprietari di tutti gli appartamenti serviti dalla colonna, compreso quello dell'appartamento interessato al guasto, che deve farsi carico dell'altra metà. Questo criterio è applicabile in mancanza di un regolamento contrattuale.
 

Locale caldaia
Il locale caldaia rientra fra le parti comuni dell'edificio, ai sensi dell'articolo 1117 del Cod. civ., ma la comproprietà può essere esclusa in capo al condomino che non fruisca del servizio in quanto proprietario soltanto di negozio ed escluso dalla tabella millesimale relativa al riscaldamento. Un condomino non può utilizzare in via esclusiva i locali già sede dell'impianto centralizzato dismesso, a meno che non venga autorizzato da tutti gli altri condomini. L'assemblea può, a maggioranza, non trattandosi d'innovazione, deliberare di concederli in locazione a uno o più condomini o a terzi, ma soltanto se non sia possibile l'u¬tilizzazione diretta da parte dei condomini, neppure attraverso l'istituzione di turni.
 

Locazione
Se i condomini hanno deliberato di dismettere l'impianto centralizzato, il conduttore può agire, anche con richiesta di provvedimento d'urgenza, per ottenere che il locatore fornisca l'immobile di idoneo impianto autonomo, se dal contratto risulta che ha diritto al servizio di riscaldamento per l'inte¬ro periodo della locazione. Il conduttore non può invece pretendere con ricorso in via d'urgenza il mantenimento dell'impianto centralizzato, né può impugnare la delibera con la quale l'assemblea disponga la sospensione o addirittura la soppressione del servizio, essendo egli estraneo al rapporto intercor¬rente fra il condominolocatore e il condominio. Può però chiedere i danni al locatore.
I conduttori di appartamenti ubicati in edificio con unico proprietario possono gestire direttamente il servizio di riscaldamento, ma con l'autorizzazione del locatore, poiché il loro potere di decisione è limitato alle spese e alle modalità di gestione del servizio, non alla gestione in sé.
 

Modifiche
Il condomino non può apportare modifiche alla parte d'impianto condominiale di pertinenza del suo appartamento, se l'intervento impedisce o ri¬duce l'utilizzazione dell'impianto da parte degli altri condomini, come nel caso in cui si dovesse interrompere il percorso delle tubature.
 

Orario di accensione
Il periodo di accensione degli impianti di riscaldamento centralizzati, l'orario giornaliero di funzionamento e la temperatura massima degli am¬bienti sono stabiliti dal Dpr 26/8/1993, n. 412. A questo fine il territorio nazionale è diviso in sei" Zone climatiche: dalla F, che raggruppa le loca¬lità più fredde, alla A, che raccoglie quelle più temperate. A ciascuna di queste zone corrisponde una diversa durata del periodo annuale di accen¬sione e un diverso orario giornaliero di funzionamento. L'unità di misura utilizzata è costituita dai gradigiorno, cioè dalla differenza fra la tempera¬tura media degli ambienti, convenzionalmente fissata in 20 gradi, e la temperatura esterna giornaliera; pertanto, più è alta questa differenza, più a lungo si possono tenere accesi gli impianti di riscaldamento. L'orario di accensione può essere frazionato in due o più sezioni.
Le prime ore del mattino e quelle se¬rali, essendo le più fredde, non possono essere escluse dal periodo di ac¬censione. In particolare, il quarto comma dell'art. 9 L. 26/8/1993, n. 412, stabilisce che la durata di attivazione degli impianti non ubicati nella zona F deve essere comunque compresa tra le ore 5 e le ore 23; sta pertanto ai condomini scegliere la fascia oraria più consona alle loro esigenze.
L'amministratore deve esporre presso l'impianto centralizzato una tabella con l'indicazione sia del periodo annuale di funzionamento sia dell'orario giornaliero di attivazione prescelto, nonché delle generalità e del domicilio del responsabile dell'esercizio e della manutenzione.
L'orario di accensione viene generalmente deliberato dall'assemblea, ma per conferire maggiore flessibilità alla conduzione dell'impianto in rela¬zione all'andamento della stagione, la decisione può essere delegata al¬l'amministratore o a un condomino. Se però l'assemblea ha stabilito un orario giornaliero e non ha autorizzato l'amministratore a derogarvi, que¬sti non può modificarlo. Se non si trova un accordo sull'orario di accensio¬ne dell'impianto ci si deve rivolgere al Giudice di pace. Il sesto comma, let¬tera e), dell'articolo 19 del Dpr 26/8/1993, n. 412, stabilisce che gli impian¬ti centralizzati, di qualsiasi potenza, dotati di apparecchi per la produzione di calore con valori minimi di rendimento non inferiori a quelli richiesti per i generatori di calore, installati a partire dal 29/IO/1993 e dotati di gruppo termoregolatore pilotato da una sonda di rilevamento della tempe¬ratura esterna con programmatore che consenta la regola zio ne almeno su due livelli nell'arco delle 24 ore, possono essere condotti in esercizio conti¬nuo. È però necessario che il programmatore giornaliero venga tarato e si¬gillato per il raggiungimento di una temperatura degli ambienti pari a 16 gradi centigradi con una tolleranza di due gradi, nelle ore al di fuori della durata giornaliera di attivazione prevista.
Il sindaco, su conforme delibera, immediatamente esecutiva, della giunta, può altresì autorizzare, per un periodo non superiore a 15 giorni, la modifi¬ca della durata e degli orari giornalieri di esercizio degli impianti, per com¬provate esigenze o per straordinarie situazioni climatiche. Norme partico¬lari sono in vigore nelle Province autonome di Trento e Bolzano.
Se una sentenza ha stabilito l'accensione notturna dell'impianto per assi¬curare a un condomino un'erogazione di calore pari a quella fruita dagli al¬tri, l'assemblea può ugualmente deliberare lo spegnimento dell'impianto in queste ore, ma a condizione che vengano posti in essere accorgimenti tecnici tali da assicurare al condomino lo stesso calore previsto dal provve¬dimento giudiziario.
L'esistenza di un pericolo imminente e irreparabile alla salute dei condo¬mini a causa della mancata attivazione dell'impianto di riscaldamento,
unitamente ai particolari rigori della stagione invernale, sono stati ritenuti dal Pretore di Molfetta presupposti validi per l'e¬manazione di un provvedimento di urgenza. Il Pretore di Marigliano ha autorizzato con provvedimento di urgenza il con¬domino a provvedere direttamente all'accensione poiché l'amministratore non vi aveva fatto luogo.
 

Radiatori
Se in un appartamento il numero dei radiatori allacciati all'impianto cen¬trale è inferiore a quello degli attacchi predisposti, è possibile allacciare i residui elementi, ma a condizione che non vi sia stata rinuncia al diritto di usare l'impianto comune, o non risulti che i limiti di utilizzazione del ser¬vizio sono stati raggiunti con l'installazione dei radiatori già funzionanti.
Il condomino può essere autorizzato dall'assemblea ad aumentare la su¬perficie radiante nel proprio appartamento, se del caso a fronte del paga¬mento di una somma, a titolo di conguaglio di quanto a suo tempo versato per l'allaccio, somma da dividere fra gli altri condomini in base alla super¬ficie radiante della rispettiva unità immobiliare. L'aumento della superficie radiante non è consentito se pregiudica il diritto degli altri condomini.
In mancanza di un regolamento contrattuale che disponga altrimenti, alle spese richieste dall'eliminazione dell'aria nei radiatori e dalla loro disin¬crostazione deve provvedere il singolo condomino, in quanto proprietario dei radiatori.
Il condomino non può chiudere i radiatori del proprio appartamento al so¬lo fine, per esempio, di far diminuire la temperatura nel sopra stante ap¬partamento. Questo comportamento, peraltro difficile da provare trattan¬dosi di dimostrare sia la mancanza di utilità per chi lo pone in atto, sia l'in¬tenzione di nuocere al prossimo, è riguarda bile come atto di emulazione e quindi illegittimo ai sensi dell'articolo 833 del Cod. civ..
Il condomino non può sottrarsi alla spesa per il riscaldamento facendo si¬gillare i radiatori, neppure per una parte del periodo di accensione, a meno che non intervenga un'autorizzazione da parte di tutti gli altri condomini. Il condomino non può sostituire i radiatori se l'innovazione incide negati¬vamente sul rendimento dell'impianto condominiale (la circostanza può essere verificata attraverso una perizia).
 

Ricostruzione
La demolizione dell'impianto e la sua ricostruzione in altro luogo con ca¬ratteristiche diverse per adeguarlo alla legge costituiscono innovazione e non opera di manutenzione straordinaria. Richiede pertanto il voto favorevole di almeno la metà dei partecipanti al condominio, in rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell' edificio sia in prima che in seconda convocazione.
 

Rumori
Il condominio è obbligato a eliminare le immissioni rumorose prodotte dall'impianto centralizzato, se esse sono tali da superare la normale tolle¬rabilità; circostanza verificabile attraverso una perizia fonometrica. Que¬st'obbligo sussiste anche quando il condominio sia sorto dopo la costru¬zione dell'edificio.
Dimostrando l'intollerabilità delle immissioni rumorose provenienti dal¬l'impianto centralizzato è possibile chiedere il risarcimento del danno bio¬logico che ne è derivato. Se non è possibile quantificare il danno provvede il Giudice in via equitativa, sulla base di un importo che non può essere meramente simbolico.
 

Sicurezza
Ciascun condomino o conduttore può richiedere a proprie spese che, a cura delle competenti autorità (il Comune nelle città con più di 40.000 abitanti, le Province negli altri casi), venga verificata l'osservanza delle dispo¬sizioni di legge in materia di sicurezza dell'impianto. Almeno ogni due anni, comunque, gli organi preposti devono effettuare controlli: direttamente o avvalendosi di tecnici esterni, con onere a carico degli utenti.
 

Soppressione
La delibera con la quale l'assemblea decida soltanto la soppressione dell'impianto centralizzato, e non anche la sua trasformazione in impianti individuali a gas, adottata con la semplice maggioranza delle quote millesimali prevista dalla legge 9/1/1991, n. 10 (norme in materia di uso raziona¬le dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), è nulla; questa materia, infatti, non rientra tra quelle privilegiate adottabili senza l'unanimità prevista da questa legge. L'assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti al condominio, in rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell' edificio (667/1.000), deliberare di mantenere in eserci¬zio il dismesso impianto centralizzato al solo fine di riscaldare i locali con¬dominiali; trattasi infatti di un'attività che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il potenziamento e il migliore godimento della cosa comune.
 

Sostituzione caldaia
La sostituzione della caldaia (altrimenti conosciuta come bruciatore) divenuta inservibile rientra fra gli atti di straordinaria amministrazione. L'in¬tervento, infatti, è diretto a ripristinare la funzionalità dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale. Se invece la sostituzione avviene con altro bruciatore, per esempio a metano anziché a gasolio, consentendo così l'utilizzazione di una fonte di energia più redditizia ed economica, e meno inquinante, l'iniziativa rientra fra le modifiche migliorative e non fra le innovazioni, essendo irrilevante l'asserita onerosità degli interventi necessari all'adeguamento. l primo caso (straordinaria amministrazione) è sufficiente il voto favorevole della metà più uno degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500 millesimi (un terzo dei condomini in rappresentanza di almeno 334 millesimi in seconda convocazione). Nel caso della modifica migliorativa è invece necessario il voto favorevole della metà più uno dei condomini, in rappresentanza di almeno 667 millesimi, sia in prima che in seconda convocazione. La spesa per la sostituzione della caldaia deve essere ripartita fra i condomini (anche quelli che si siano staccati dall'impianto, poiché ciò non fa venir meno la loro comproprietà) in proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo. Un criterio alternativo potrebbe essere quello di usare i millesimi del riscaldamento. Sono invece esonerati dal contribuire alla spesa i proprietari di locali non serviti dall'impianto.
 

Spese
Per la suddivisione delle spese richieste dall'impianto centralizzato (dal combustibile all'energia, dalla manutenzione alle piccole riparazioni) si possono seguire tre diversi criteri.
a. La superficie irradiata, ossia la dimensione dell'unità immobiliare espressa in metri quadrati. Questo metodo, molto diffuso, non è corretto se i vari piani hanno altezze diverse: i locali con il soffitto più alto, infatti, devono essere riscaldati di più.
b. La cubatura dei locali, ossia tenendo conto anche dell'altezza delle pareti oltre che delle dimensioni dell'unità immobiliare.
c. La superficie radiante, vale a dire il numero e la dimensione degli elementi (radiatori) installati nelle varie unità immobiliari. Questo criterio presenta alcuni inconvenienti. Il primo riguarda i caloriferi: se sono tutti dello stesso tipo non c'è alcun problema, ma se i radiatori sono diversi bisogna tenere conto anche delle loro caratteristiche tecniche. L'applicazione del criterio, inoltre, obbliga a una vigilanza continua, perché qualche condomino, per esempio, potrebbe aggiungere nuovi elementi, oppure installare, di nascosto, caloriferi con caratteristiche tecniche diverse da quelle standard, finendo così per consumare più di quanto gli viene teoricamente attribuito.
La giurisprudenza propende per l'applicazione di quest'ultimo criterio: più elementi radianti si hanno, più si paga. Questo criterio è ritenuto conforme a quello dettato dal secondo comma dell'articolo 1123 del Cod. civ., per il quale se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa le spese sono ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne. È molto seguito, però, il criterio misto: metà della spesa ripartita in base alla cubatura, e l'altra metà in base alla superficie radiante. Il criterio di suddivisione della spesa previsto dal suddetto articolo può essere modificato solo con il consenso di tutti i condomini.
Poiché l'obbligo di contribuire alla spesa prescinde dall'effettiva fruizione del servizio, deve pagare la bolletta del riscaldamento anche chi tiene l'appartamento sfitto o passa l'inverno altrove, a meno che gli altri condomini, all'unanimità, non lo abbiano esonerato in tutto o in parte.
Per stabilire se il proprietario di un appartamento o di un locale non servi¬to da riscaldamento è tenuto o meno a concorrere alle spese di manuten¬zione dell'impianto occorre distinguere. Se l'impianto esisteva prima della formazione del condominio, ed è potenzialmente idoneo a scaldare l'ap¬partamento o il locale, il condomino deve essere considerato comproprieta¬rio dell'impianto e quindi tenuto a concorrere alle spese di manutenzione, indipendentemente dal fatto che nei suoi locali vi siano o meno diramazio¬ni dell'impianto. Sulla stessa linea inter¬pretativa la Corte d'Appello di Trieste che, con sentenza del 24/5/1985, ha considerato la centrale termica comune anche al proprietario di uno scan¬tinato destinato a magazzino, ancorché non servito dall'impianto, poiché questo era tale da consentire, senza modifica alcuna e senza alcuna anor¬malità di gestione tecnica della caldaia, l'erogazione del calore anche allo¬cale.
Se il conduttore non paga il riscaldamento l'amministratore non può agire giudizialmente nei suoi confronti ma deve richiedere il pagamento solo al condomino, che potrà a sua volta rivalersi nei confronti del conduttore mo¬roso.
 

Teleriscaldamento
Il teleriscaldamento (dal greco "tele", che significa lontano) è una tecnolo¬gia che consente di utilizzare il vapore prodotto in eccedenza da una cen¬trale elettrica, per il riscaldamento di edifici o di interi quartieri, a seconda della potenza dell'impianto) situati a distanza, anche considerevole dal luogo di produzione, con conseguente risparmio nei costi e riduzione del tasso d'inquinamento.
Per la ripartizione, fra i condomini, della spesa richiesta dall'allaccio al si¬stema di teleriscaldamento, il più recente orientamento della Cassazione è nel senso di seguire il criterio della su¬perficie radiante. Se la spesa è molto gravosa (circostanza da verificare in concreto, in relazione allo stato dei luoghi), i condomini che non intendo¬no trame vantaggio sono esonerati dal contribuirvi; si tratta, infatti, di un impianto suscettibile di utilizzazione. Provare l'onerosità dell'intervento è a carico di chi lo contesta.
I condomini e i loro eredi o aventi causa (per esempio, gli acquirenti delle unità immobiliari) possono in qualunque momento partecipare ai vantag¬gi dell'innovazione, contribuendo alle spese di manutenzione e di esecu¬zione dell'opera, opportunamente rivalutate.
 

Temperatura
L’articolo 4 del Dpr 26/8/1993, n. 12, dispone che, durante il periodo di ac¬censione, la media aritmetica delle temperature dell'aria nei diversi am¬bienti di ogni singola unità immobiliare non debba superare i 20 gradi centigradi, con una tolleranza massima di 2 punti: è quindi possibile un'e¬scursione compresa fra i 18 e i 22 gradi. Negli edifici adibiti ad attività in¬dustriali, invece, la norma è 18 gradi, con possibilità di escursione fra i 16 e i 20 gradi. Se il valore medio viene rispettato, può accadere che in un am¬biente la temperatura sia costantemente superiore alla media. Il manteni¬mento della temperatura entro questi limiti deve essere ottenuto con accor¬gimenti che non comportino spreco di energia.
Può accadere che in un appartamento ci sia troppo caldo: le spese necessa¬rie per eliminare l'inconveniente sono a carico del proprietario, a meno che il disagio non derivi da una deficienza nella conduzione dell'impianto, nel qual caso la spesa graverà sul condominio.
Se la temperatura in un appartamento è insufficiente, in primo luogo oc¬corre verificare, attraverso una perizia, se l'inconveniente è causato da un difetto di costruzione dell'impianto, da una diminuzione della sua efficien¬za o da una gestione non corretta.
Nel primo caso la responsabilità non può essere fatta risalire al condomi¬nio e il proprietario dovrà pertanto rivalersi nei confronti del venditore o del costruttore. Negli altri due casi, invece, si può invitare l'amministratore ad attivarsi per la rimozione dell'inconveniente: per esempio, attraverso un aumento della superficie radiante. Se, nonostante le modifiche tecni¬che, il disagio permane, si può chiedere al giudice una protrazione dell'o¬rario di accensione, nell'ambito, però, dei limiti stabiliti dalla legge. Questa possibilità incontra però dei limiti: il prolungamento dell'orario, infatti, deve essere consentito dalle caratteristi¬che dell'impianto e non deve recare pregiudizio agli altri condomini. Le maggiori spese per il più intenso funzionamento dell'impianto, anche in relazione all'eventuale deterioramento, sono a carico del condomino beneficiario, che dovrà accollarsi anche l'eventuale spesa necessaria per la mes¬sa in opera di strumenti o accorgimenti tecnici finalizzati a evitare un ec¬cesso di calore negli altri appartamenti.
Un'altra possibilità è quella di dotarsi di un impianto aggiuntivo, a condi¬zione che non renda inservibile o meno economico l'uso di quello centra¬lizzato. Il riscaldamento è un servizio strettamente collegato alla salute di chi abita l'edificio, per il quale non solo il proprietario, ma anche il condut¬tore, può chiedere al giudice, attraverso un avvocato, un provvedimento di urgenza.
Se la temperatura è insufficiente non ci si può rifiutare di contribuire alla spesa, né ci si può autoridurre il contributo; neppure si può pretendere la restituzione dei contributi versati durante il periodo in cui il riscaldamento era insufficiente, dal momento che il servizio, ancorché entro certi limiti, è pur sempre stato erogato. È invece pos¬sibile agire giudizialmente per ottenere il risarcimento degli eventuali danni.
Il condomino può anche staccarsi dall'impianto centralizzato se il condo¬minio, pur ripetutamente sollecitato, per anni non ha provveduto a mette¬re l'impianto centralizzato in condizione di fornirgli una temperatura ade¬guata; né è tenuto a riallacciare il nuovo impianto a quello condominiale.
Trasformazione da centralizzato ad autonomo
La trasformazione dell'impianto di riscaldamento da centralizzato in im¬pianti autonomi unifamiliari può essere adottata con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino almeno 501 millesimi (secondo com¬ma, articolo 26 della legge 9/1/1991, n. 10). Questa maggioranza ridotta, introdotta per favorire il risparmio energetico e quindi a tutela di un inte¬resse superiore a quello del condominio, prevale sull'eventuale più elevata maggioranza prevista dal regolamento, ancorché contrattuale. La delibera è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dal¬la relazione tecnica di conformità di cui al primo comma dell'articolo 28 del Cod. civ., attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera. La delibera è però illegitti¬ma se non contiene alcun riferimento al rispetto delle prescrizioni per la riduzione dei consumi energetici dettate dalla legge.
Trasformazione da gasolio a metano
La Cassazione a considerato la trasfor¬mazione da gasolio a gas metano un'innovazione: per la sua introduzione, quindi, è richiesto il voto favorevole della metà più uno dei partecipanti al
condominio, in rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell'edifi¬cio (667 millesimi).
 

Tubi
La spesa per la sostituzione dei tubi dell'impianto centralizzato fa carico, fino al punto di diramazione ai locali dei singoli condomini, al condomi¬nio, con i condomini chiamati a contribuirvi in proporzione ai millesimi di proprietà. Per il tratto successivo, invece, la spesa è a carico esclusivo del proprietario dell'unità immobiliare. Se però l'impianto è in una situazione d'inscindibilità materiale o funzionale con i componenti installati nelle singole unità immobiliari (per esempio se è stato realizzato con serpentine inserite nei solai), l'assemblea può validamente deliberare che anche la spesa richiesta dalla loro riparazione venga ripartita in base ai millesimi di proprietà.
Se i tubi dell'impianto condominiale attraversano un locale che non usu¬fruisce del servizio, il proprietario di questo non è tenuto a contribuire alle spese di riscaldamento, poiché tale ipotesi non dà luogo a una compro¬prietà dell'impianto ma a un rapporto di servitù di conduttura di liquidi a favore del condominio e a carico del condominio.
 

Vendita caldaia
Se tutti i condomini si sono dotati di impianto autonomo l’assemblea può deliberare di rimuovere (ed eventualmente vendere, anche come rottame) la caldaia e adibire il locale ad altro uso, sempre condominiale, con il voto favorevole della metà più uno dei condomini, in rappresentanza di almeno 667 millesimi sia in prima che in seconda convocazione.